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Sani in cucina, l’acrilamide

Scritto da Dr. Giorgia Cazzolli, Ph.D., aggiornato il 5 gennaio, 2020
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Sani in cucina, l’acrilamide

Acrilamide è una sostanza potenzialmente cancerogena che si sviluppa quando cibi ricchi di amidi vengono sottoposti a cotture ad alte temperature, cerchiamo di capire come è possibile ridurre la quantità di acrilamide prodotta

L’acrilamide, o acrilammide, è una sostanza tossica, reperibile in alimenti ricchi di carboidrati e sottoposti a frittura, arrostitura e cottura al forno e classificata dallo IARC come probabile cancerogena per l’uomo. Tuttavia, anche al giorno d’oggi, non c’è certezza riguardo ai suoi effetti sulla salute. Si sa che l’acrilamide è neurotossica e dannosa per fegato, polmoni e reni, tuttavia, alle dosi assunte con l’alimentazione, non c’è prova che possa causare tumori. In ogni caso, gli studi si sono concentrati sugli effetti a breve termine e mancano ricerche sulle conseguenze sul lungo periodo di una continua assunzione di piccole quantità di acrilamide, come appunto avviene con la dieta [1]. Ecco perché è bene cercare, dove possibile, di ridurre la quantità di acrilamide ingerita. Non sarà mai possibile eliminare completamente l’acrilamide, ma, come vedremo nel seguito, si possono prendere delle precauzioni per abbassarne la quantità nei cibi. Cerchiamo quindi di capire come si forma l’acrilamide e cosa possiamo fare per ridurre la presenza di questa sostanza.

Acrilamide, perché si trova nei cibi

L’acrilamide si forma attraverso cotture ad alte temperature degli amidi, come quando si friggono le patatine o si cuociono in forno pane e crackers. A causa dei processi di lavorazione a cui vengono sottoposti, troviamo acrilamide anche in caffè, cacao e cereali della colazione. L’acrilamide inizia a formarsi a 120°C e raggiunge il massimo picco intorno a 180°C [2]. L’acrilamide non si forma invece in seguito alla bollitura degli alimenti [3]. Si stima che ben un terzo delle calorie consumate da cittadini americani ed europei contiene acrilamide. Ecco perché l’acrilamide è un argomento di interesse. Come accennato, tuttavia, è impossibile eliminare completamente questa sostanza. È possibile però, con qualche accorgimento, ridurla.

Acrilamide, accorgimenti

Quando si friggono cibi ricchi di carboidrati la quantità di acrilamide aumenta con l’aumentare della temperatura a cui si frigge, quadruplicando quando si arriva a temperature di 190°C rispetto alla quantità che si forma a 170°C. Ecco quindi che munirsi di un termometro da cucina potrebbe essere una buona idea in modo da raggiungere una temperatura compresa tra 160°C e 170°C, al di sotto di questo intervallo l’alimento si inzuppa di olio e non completa la cottura mentre al di sopra aumenta notevolmente la quantità di acrilamide [4]. L’acrilamide aumenta anche con l’aumentare del tempo di frittura, ma anche il tipo di olio usato per friggere può determinare una maggiore o minore presenza di acrilamide. L’olio d’oliva, infatti, grazie ai fenoli che contiene, tra cui sostanze chiamate orto difenoli, inibisce la formazione di acrilamide [5].

Per quanto riguarda la cottura in forno, la temperatura è determinante nella quantità di acrilamide che si ritrova negli alimenti ma il risultato è leggermente diverso da quello che ci si potrebbe aspettare. Infatti, è stato osservato che a 170°C la cottura in forno produce più acrilamide di quando si cuoce l’alimento a 180°C.

Non solo, la cottura in forno a 170°C produce maggiori quantità di questa sostanza rispetto anche alla frittura alla stessa temperatura. Confrontando i metodi di cottura e le temperature, la minor quantità di acrilamide si ottiene con la cottura in forno a 180°C [4].

Fonti

[1] Exon et al, J Toxicol Environ Health B Crit Rev., 2016
[2] Mucci et al, J Agric Food Chem, 2019
[3] Kumar et al, Front Nutr, 2018
[4] Palazoglu et al, J Food Sci, 2010
[5] Napolitano et al, J Agric Food Chem, 2008
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AUTORE
Unisce la sua passione per uno stile di vita naturale e la sua formazione universitaria, è infatti laureata in fisica e ha il dottorato di ricerca in fisica, settore biofisica. Leggere articoli scientifici, documentarsi sulle ultime ricerche e testare nuovi metodi e ricette è quindi da sempre il suo lavoro, che, speriamo, di aver reso utile.
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